Il Dipartimento di Giustizia USA valuta opzioni per contrastare il monopolio di Google nel mercato della ricerca
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sta considerando diverse misure per contrastare il monopolio di Google nel mercato dei motori di ricerca, in seguito alla sentenza di agosto 2024 che ha dichiarato l'azienda colpevole di pratiche anticoncorrenziali. Tra le opzioni al vaglio ci sono interventi strutturali come la cessione forzata di parti dell'attività, inclusi il browser Chrome e il sistema operativo Android, nonché la condivisione dei dati che alimentano il motore di ricerca con i concorrenti. L'obiettivo dichiarato è quello di ripristinare condizioni di concorrenza eque in un settore considerato cruciale per l'economia digitale e la vita quotidiana dei cittadini. Le proposte definitive verranno presentate a novembre 2024, con Google che avrà poi la possibilità di avanzare controproposte a dicembre.
La sentenza di agosto ha stabilito che Google ha sfruttato illegalmente la sua posizione dominante attraverso accordi di distribuzione esclusivi con produttori di dispositivi e sviluppatori di browser, assicurandosi lo status di motore di ricerca predefinito sulla maggior parte delle piattaforme. Secondo il giudice, queste pratiche hanno ostacolato la concorrenza impedendo ai rivali di raggiungere la scala necessaria per competere efficacemente. Il Dipartimento di Giustizia sostiene che tali accordi abbiano permesso a Google di addebitare prezzi "sovraconcorrenziali" per la pubblicità testuale associata alle ricerche, danneggiando inserzionisti e consumatori. L'azienda di Mountain View ha annunciato l'intenzione di presentare appello una volta che il giudice Amit Mehta avrà emesso la sentenza definitiva, prevista entro agosto 2025.
Tra le misure al vaglio dei procuratori federali c'è la revisione o la cessazione degli accordi di esclusiva per la ricerca predefinita stipulati da Google con produttori di dispositivi mobili, sviluppatori di browser e operatori wireless. Ciò aprirebbe il mercato ad altri motori di ricerca come Bing e DuckDuckGo, consentendo loro di negoziare posizioni di default o comunque un accesso più agevole a canali di distribuzione cruciali. Si valuta anche l'imposizione della condivisione di determinati dati degli utenti con i concorrenti, per ridurre le barriere all'ingresso nello sviluppo di motori di ricerca competitivi. L'obiettivo sarebbe permettere ai rivali di migliorare la qualità dei propri risultati, incrementando nel tempo la soddisfazione e l'adozione da parte degli utenti.
Le possibili conseguenze di questi interventi potrebbero essere significative sia nel breve che nel lungo periodo. Nel medio termine (1-2 anni) ci si attende un aumento della concorrenza e dell'innovazione nel mercato della ricerca online, con benefici per i consumatori in termini di maggiore scelta e costi pubblicitari potenzialmente inferiori. Nel lungo periodo (oltre 2 anni) il mercato potrebbe stabilizzarsi raggiungendo un nuovo equilibrio, con una maggiore diversificazione dell'offerta. Tuttavia, Google sostiene che misure così radicali rischierebbero di danneggiare consumatori e imprese americane, oltre a minare la competitività del paese nel campo dell'intelligenza artificiale. L'azienda afferma che Chrome e Android svolgono un ruolo importante nel fornire accesso gratuito a Internet a miliardi di persone.
Il caso si inserisce in un contesto più ampio di crescente scrutinio antitrust nei confronti dei giganti tecnologici. Oltre a Google, anche Apple, Amazon e Meta sono oggetto di cause intentate dalle autorità federali. Il Dipartimento di Giustizia ha avviato una seconda causa contro Google riguardante la sua tecnologia pubblicitaria, con una sentenza attesa entro fine 2024. Inoltre, i regolatori federali stanno ora esaminando un altro gruppo di aziende focalizzate sull'intelligenza artificiale, tra cui Microsoft, OpenAI e Nvidia. L'esito di questi procedimenti potrebbe ridisegnare in modo significativo il panorama competitivo del settore tecnologico negli Stati Uniti e a livello globale nei prossimi anni, con potenziali ripercussioni su innovazione, privacy e accesso ai servizi digitali.
Forse non tutti sanno che….
L’UE finanzia da almeno 30 anni, con una cospicua linea di sussidi fissa nel bilancio multi annuale, le reti transeuropee (TEN: trans-European networks).
Tra esse, una è una potente rete IT dedicata che per capacità e competenze avrebbe potuto rappresentare un vantaggio concorrenziale significativo nel mercato unico europeo, a sostegno dell’economia digitale o della conoscenza, rispetto ai giganti digitali privati made in USA, come Google.
Questa rete interconnette da decenni le reti private di ogni università pubblica e dei centri di ricerca pan-europei con il CERN in Svizzera e, attraverso cavi sottomarini, con le reti simili in altri continenti.
Un suo spin-off ha creato una “nuvola” dedicata all’industria europea, e altre iniziative minori, ma Google rimane per investimento e concorrenzialità (anche sleale) di gran lunga superiore per funzionalità e user-friendliness.
La rete europea, oltre all’invenzione di eduroam, all’interconnessione dei centri di supercomputing, a una serie di attività di “capacity building”, rimane una associazione che invece di competere con l’offerta che i giganti tecnologici fanno al mondo della Ricerca, e aggiungere il valore della sua “funzione pubblica europea”, è rimasta restia a raggiungere visibilità e diventare un’attrice nel mercato della conoscenza e della tecnologia. Su indicazione del suo CdA (composto dai rappresentanti nazionali delle reti IT della Ricerca e Università) ha preferito rimanere un club esclusivo che (nel trentennio in cui Google ha maturato la sua posizione oligopolistica) ha destinato il sussidio europeo e il contributo nazionale dei paesi membri in attività a moderato ritorno economico, senza riuscire a creare un centro di eccellenza.