Negli ultimi anni il mondo del lavoro è stato investito da trasformazioni radicali: l’ascesa della gig economy – un mercato del lavoro fatto di lavori temporanei, autonomi e on-demand – e la diffusione di modelli di impiego ibridi e flessibili hanno messo in discussione il tradizionale impiego fisso 9-17. Ormai una fetta consistente della forza lavoro non rientra più nei canoni classici. Negli Stati Uniti, ad esempio, circa il 36% dei lavoratori – pari a 58 milioni di persone – si definisce occupato in modo indipendente (freelance, consulente, gig worker), in netto aumento rispetto al 27% stimato nel 2016 . Questo fenomeno globale solleva la domanda: stiamo perdendo il concetto stesso di “lavoro” come posizione stabile e continuativa? Da un lato, la gig economy offre flessibilità e autonomia – caratteristiche che circa un quarto dei lavoratori dice di privilegiare. Dall’altro, molti di coloro che lavorano in modo non standard lo fanno per necessità più che per scelta: il 62% dei lavoratori indipendenti intervistati preferirebbe un impiego stabile tradizionale. Questa ambivalenza indica che il concetto di lavoro è in rapida evoluzione, tra opportunità di autonomia e rischio di precarietà strutturale1.
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