L’industria della difesa in Italia rappresenta un settore strategico per l’economia, l’innovazione e l’occupazione qualificata. Questo studio ha l’obiettivo di fornire una panoramica approfondita del ruolo di questo comparto nel sistema produttivo nazionale, evidenziando il suo contributo alla crescita del PIL, allo sviluppo tecnologico e alla competitività internazionale. Il settore, caratterizzato da un’ampia filiera industriale che comprende grandi gruppi, medie imprese specializzate e un ecosistema di PMI ad alta tecnologia, ha visto una crescita costante negli ultimi anni, consolidando la posizione dell’Italia tra i principali attori globali nel comparto difesa e sicurezza. La stretta interconnessione con il mondo della ricerca e con il sistema universitario consente di sviluppare innovazioni all’avanguardia, favorendo il trasferimento tecnologico e alimentando un circuito virtuoso tra investimenti pubblici, iniziativa privata e progresso scientifico.
L’analisi si concentra su quattro aree fondamentali: l’impatto economico della difesa, la sua capacità di generare posti di lavoro qualificati, il suo ruolo nel promuovere l’innovazione tecnologica e le sue relazioni con il mondo dell’Università e della Ricerca. Il settore difesa non solo produce avanzamenti nel campo dell’intelligenza artificiale, della sensoristica e della robotica, ma si configura anche come un motore di crescita per la ricerca accademica, grazie ai finanziamenti di borse di dottorato, laboratori congiunti e collaborazioni con istituti di eccellenza come il CNR e l’Istituto Italiano di Tecnologia. Questo studio si propone di analizzare, con dati e modelli previsionali, il potenziale impatto di un incremento degli investimenti nel settore, mettendo in luce come la difesa possa rappresentare un elemento centrale per la modernizzazione del sistema industriale italiano e per il rafforzamento delle competenze tecniche e scientifiche nel Paese.
Le imprese del settore
L’Italia vanta un comparto Aerospazio, Difesa e Sicurezza (AD&S) di primaria rilevanza. È il sesto Paese al mondo nel settore della difesa per volume di attività secondo i dati SIPRI, e il quarto in Europa, con una filiera industriale articolata. Si stimano attive nel Paese circa 4.000 imprese del settore, distribuite tra grandi gruppi integratori di sistemi, aziende medie specializzate e un ampio tessuto di PMI ad alta tecnologia. Il fatturato complessivo annuo dell’industria italiana della difesa (incluso l’aerospazio) è di circa 19-20 miliardi di euro, in costante crescita nell’ultimo decennio (il 2023 segna il nono anno consecutivo di aumento del giro d’affari). Il mercato è altamente concentrato: Leonardo S.p.A. (ex Finmeccanica) e Fincantieri – i due principali attori nazionali – generano insieme circa l’80% del fatturato dell’intera industria militare italiana. Leonardo, gigante dell’aerospazio e difesa, è stabilmente tra i top10 globali del settore, mentre Fincantieri è uno dei leader mondiali della cantieristica navale militare. Questa concentrazione fa sì che l’Italia, rappresentata essenzialmente da questi due gruppi, pesi per circa il 14% del giro d’affari europeo della difesa e per il 4% di quello mondiale. Accanto ai big player, opera una fitta rete di subfornitori e imprese specializzate (dalla meccanica ai sistemi elettronici, dalle munizioni alle tecnologie cyber e spaziali), spesso PMI altamente innovative integrate nelle catene del valore dei grandi programmi. L’Italia è anche fra i principali esportatori di armamenti: nonostante una normativa restrittiva, le esportazioni italiane di sistemi militari sono cresciute dell’86% nel quinquennio 2019-2023 rispetto ai cinque anni precedenti, a riprova della competitività internazionale dell’industria bellica nazionale (dominata, anche in questo caso, dalle commesse estere di Leonardo e Fincantieri).
L’industria italiana della difesa e sicurezza comprende un nucleo di grandi gruppi affiancato da centinaia di piccole e medie imprese specializzate. In totale si contano almeno un centinaio di aziende di rilievo (con fatturati oltre 20 milioni €) e oltre 300 PMI attive nel comparto1. Il settore è dominato da due giganti a controllo statale – Leonardo e Fincantieri – che fungono da prime contractor nei programmi più complessi, sostenuti da una “piramide” di imprese subfornitrici ad alta specializzazione2. Questa filiera diversificata spazia dall’aerospazio all’elettronica, dalla cantieristica navale fino ai veicoli terrestri, con un’elevata concentrazione di know-how tecnologico.
Dal punto di vista economico, il comparto difesa italiano ha registrato negli ultimi anni un fatturato in forte crescita. I ricavi aggregati dei primi 100 operatori del settore hanno raggiunto circa 40,7 miliardi € nel 2023, considerando sia attività militari sia civili. La porzione direttamente attribuibile a contratti difesa è pari a circa 20 miliardi € (49% del totale) nel 20233, in aumento del +6,6% rispetto al 2022 e del +14,7% rispetto al 20214. Questo trend positivo evidenzia la spinta data dai recenti programmi di riarmo e dalla domanda crescente, interna ed estera, di sistemi avanzati. Già nel 2019 il giro d’affari del comparto aerospazio-difesa italiano si attestava intorno ai 12 miliardi USD5, e la crescita successiva ha portato l’Italia a posizionarsi tra i primi 10 produttori mondiali e al 4º posto in Europa per volume di attività nel settore6. Il settore contribuisce attualmente a circa lo 0,3% del PIL italiano in termini di valore aggiunto, e rappresenta una componente importante dell’industria hi-tech nazionale7.
L’Italia è inoltre divenuta uno dei maggiori esportatori di armamenti al mondo. Circa il 68% dei ricavi del settore difesa proviene da vendite all’export8, indice di un’elevata competitività internazionale delle imprese italiane. Negli ultimi anni l’Italia ha scalato il ranking mondiale: secondo i dati SIPRI 2019-2023, le esportazioni italiane di armi sono aumentate dell’86% rispetto al quinquennio precedente, portando l’Italia ad essere il 6º maggiore esportatore globale di armamenti9. I prodotti italiani trovano sbocco in particolare sul mercato europeo (circa il 61% delle vendite all’estero nel 2023 sono destinate a Paesi UE/NATO) e nordamericano (29%, trainato dalla domanda USA). Allo stesso tempo, significativi contratti sono stati conclusi con nazioni in Medio Oriente e Asia: ad esempio, tra i principali acquirenti recenti figurano il Qatar (27% delle forniture italiane 2019-2023), l’Egitto (21%) e il Kuwait (13%)10. Nel 2023 le autorizzazioni italiane all’export di armamenti hanno raggiunto i 6 miliardi €, con Francia, Ucraina e Stati Uniti come primi destinatari annuali11. Questa forte proiezione internazionale indica che l’industria nazionale, pur di dimensioni inferiori a quelle di Stati Uniti, Russia o Francia, riveste un ruolo di primo piano in diversi segmenti (aeronautica da combattimento, elicotteri, sistemi navali, elettronica difensiva), ritagliandosi quote di mercato significative a livello globale.
Le aziende leader consolidano la maggior parte del fatturato: oltre ai colossi Leonardo (primo gruppo italiano della difesa, presente in aerospazio, elettronica, sistemi terrestri e cyber) e Fincantieri (cantieristica militare), solo altri 8 operatori in Italia superano il miliardo di euro di ricavi, e insieme questi attori maggiori rappresentano circa il 75% del volume d’affari settoriale. Si annoverano tra essi multinazionali e joint venture come MBDA (missilistica, partecipata da Leonardo), Elettronica, Avio Aero (propulsori, parte di GE), Thales Alenia Space Italia (spazio, joint venture italo-francese) e altri. Accanto a questi, esiste un tessuto ampio di PMI – l’85% dei membri di AIAD (Federazione aziende italiane per Aerospazio, Difesa e Sicurezza) sono piccole e medie imprese – distribuite in distretti tecnologici in regioni come Piemonte, Lombardia, Lazio, Puglia, Campania e Umbria12. Molte PMI operano come fornitori di componentistica, sub-sistemi e servizi di manutenzione: circa il 47% delle imprese di settore produce parti per aeromobili e veicoli spaziali, il 19,6% offre manutenzione e riparazione avanzata, mentre il restante realizza apparecchiature elettroniche, radar, sensori e strumentazione specialistica13. Leonardo da sola si avvale di oltre 4.000 fornitori PMI italiani, mentre Avio Aero (motori) conta più di 1.000 aziende fornitrici nazionali – un ecosistema di subfornitura che amplifica la portata industriale e territoriale del comparto.
In sintesi, l’industria della difesa in Italia costituisce un settore altamente strategico per tecnologia e export, con una struttura a filiera integrata. L’elevata propensione all’export e la presenza in programmi internazionali ne fanno un pilastro della base industriale europea in ambiti chiave (dalla difesa aerea alla cantieristica militare), fornendo capacità critiche sia alle Forze Armate nazionali sia a partner e alleati esteri.
Occupazione diretta e indiretta
L’industria della difesa italiana genera un importante bacino di posti di lavoro specializzati, sia in modo diretto che attraverso l’indotto. Gli addetti impiegati direttamente nelle aziende del comparto difesa sono stimati in circa 50–55 mila unità sul territorio nazionale. Un’analisi del 2023 sui primi 100 operatori del settore indica infatti che 54.000 occupati sono coinvolti esclusivamente in attività militari in Italia14. Questo dato segna un incremento rispetto a pochi anni fa (erano circa 50 mila nel 201915), riflettendo la crescita recente del settore. Questi lavoratori diretti includono per la maggior parte ingegneri, tecnici altamente qualificati, progettisti e operai specializzati: il comparto si distingue infatti per una forza lavoro mediamente molto qualificata e con competenze STEM avanzate. La presenza di programmi high-tech (dai velivoli di ultima generazione ai satelliti, dai sistemi radar all’elettronica critica) richiede professionalità con elevati livelli di istruzione e formazione. Non a caso l’industria aerospaziale e della difesa è considerata il principale settore manifatturiero hi-tech in Italia, con un’alta concentrazione di laureati in ingegneria, informatica, materie scientifiche ed esperti tecnici. Ciò contribuisce alla creazione di posti di lavoro altamente qualificati sul territorio, con effetti positivi sul know-how nazionale e sulle competenze disponibili anche per altri settori industriali ad alta tecnologia.
Accanto agli occupati diretti nelle imprese prime e subcontraenti, vi è poi l’ampio indotto occupazionale generato a cascata lungo la filiera. La difesa attiva infatti una rete di fornitori, subfornitori e servizi il cui impatto in termini di occupazione aggiuntiva è notevole. Studi di settore indicano che ogni posizione lavorativa in un’azienda di primo livello ne sostiene numerose altre nell’economia: ad esempio, Leonardo – maggiore datore di lavoro industriale del comparto con circa 29.000 dipendenti in Italia – stima che per ogni 100 dipendenti diretti, vengano attivati altri 260 posti di lavoro nell’indotto nazionale16. Questo elevato moltiplicatore (1:2,6) riflette la complessità della supply chain: la domanda generata da Leonardo e dagli altri big per componenti, materiali, servizi di progettazione e supporto alimenta migliaia di impieghi presso PMI subfornitrici, aziende di software, elettronica, metalmeccanica di precisione, consulenza ingegneristica, logistica, ecc. Complessivamente, considerando l’intera filiera allargata AD&S, si calcola che il settore impieghi indirettamente decine di migliaia di lavoratori aggiuntivi. Leonardo segnala una rete di 4.000 imprese fornitrici in Italia (di cui ~70% PMI)17, mentre Fincantieri e altri gruppi navali attivano cantieri e indotto locale nei poli marittimi. In totale, sommano a oltre 180.000 gli occupati (diretti e non) presso le sole prime 100 aziende della difesa18) – numero che include sia il personale dedicato alle attività civili di queste imprese, sia le migliaia di addetti nei reparti esteri – a riprova della rilevanza occupazionale estesa dell’ecosistema difesa.
Il carattere ad alta specializzazione dei prodotti militari fa sì che molti dei ruoli creati siano posizioni qualificate e ben remunerate, contribuendo alla formazione di capitale umano avanzato. L’industria della Difesa italiana impiega ingegneri aeronautici, elettronici, informatici, progettisti meccanici, tecnici radaristi, specialisti in materiali compositi, chimici per esplosivi e propellenti, esperti di cybersecurity, ecc. Questo la rende un motore di impiego qualificato in settori STEM, aiutando a trattenere talenti scientifici e ingegneristici nel Paese. Il settore offre inoltre opportunità di formazione continua: molte imprese collaborano con università e centri di ricerca per aggiornare le competenze del personale, finanziano master e dottorati industriali (come vedremo oltre) e trasferiscono tecnologie all’avanguardia al tessuto produttivo. Si stima che la difesa abbia una densità di ricercatori per addetto molto superiore alla media manifatturiera, secondi solo forse al farmaceutico, e che oltre il 30-40% degli impiegati abbia una laurea tecnico-scientifica. In sintesi, il ruolo della difesa nella creazione di posti di lavoro altamente qualificati è centrale: non solo fornisce occupazione diretta a decine di migliaia di persone, ma innalza la qualità media dell’occupazione industriale in Italia, con positive ricadute sul sistema formativo e sull’innovazione nazionale.
Impatto tecnologico e brevetti
Il settore della difesa è tradizionalmente uno dei motori dell’innovazione tecnologica in Italia, caratterizzato da ingenti investimenti in Ricerca & Sviluppo (R&S) e da un output significativo in termini di brevetti e nuove tecnologie. Le principali aziende italiane della difesa vantano portafogli brevetti consistenti e in crescita. Ad esempio, Leonardo S.p.A. (ex Finmeccanica) – campione nazionale dell’aerospazio e difesa – ha visto nel 2023 un vero balzo nelle proprie attività brevettuali: il numero di brevetti depositati da Leonardo è aumentato del +37% rispetto all’anno precedente19. Questo dato, comunicato in occasione della mostra “L’Italia dei brevetti” 2023, conferma il trend di rafforzamento dell’innovazione interna dell’azienda, che già detiene la leadership in Italia per investimenti in R&S (2,2 miliardi € l’anno, il valore più alto tra le imprese italiane)20. Sebbene non sia indicato il numero assoluto di brevetti, l’incremento percentuale e la dimensione degli investimenti suggeriscono che Leonardo deposita diverse decine di nuove invenzioni ogni anno, consolidando un portafoglio brevettuale tra i maggiori del Paese. Lo stesso gruppo segnala un tasso di crescita composto annuo del proprio portafoglio brevetti vicino al 5% nell’ultimo decennio21, con circa un quinto dei brevetti legati a idee scaturite dall’Innovation Award aziendale – segno che la cultura dell’innovazione permea i dipendenti e produce risultati concreti (il 91% di tali brevetti è stato effettivamente applicato in prodotti o servizi di Leonardo). Anche Fincantieri, leader nella cantieristica navale militare, investe in proprietà intellettuale (ad es. sistemi di propulsione ibrida navale, tecnologie stealth per navi, etc.), sebbene i suoi brevetti siano meno pubblicizzati data la natura spesso riservata dei progetti difesa. Altre aziende italiane (Elettronica, MBDA Italia, Avio) depositano regolarmente brevetti su tecnologie radar, missilistiche, motoristiche e spaziali. Complessivamente, l’Italia figura ai vertici europei per intensità tecnologica nell’industria della difesa: in rapporto al valore aggiunto generato, il settore AD&S investe in R&D oltre il 20% (rapporto R&S/VA), un valore che la pone quinta nell’area OCSE per sforzo di ricerca relativo. Tale percentuale supera quella di altri comparti high-tech e indica che un quinto della ricchezza prodotta dalla difesa viene reinvestito in innovazione – un circolo virtuoso che alimenta nuovi brevetti e know-how.
L’impatto tecnologico dell’industria militare si misura non solo in brevetti, ma anche nelle tecnologie di punta sviluppate e successivamente diffuse nel tessuto economico. Molte innovazioni originano in ambito difesa e trovano poi applicazioni civili (dual use). Storicamente, progressi come internet, GPS, semiconduttori, materiali compositi, reattori nucleari di piccola taglia, ecc. hanno radici o contributi dalla ricerca militare. In Italia, le aziende della difesa lavorano su frontiere tecnologiche che generano spill-over: ad esempio Leonardo è attiva in supercalcolo (HPC), intelligenza artificiale, sistemi autonomi (droni) e quantum computing tramite i suoi Leonardo Labs22, tutte aree in cui le soluzioni studiate per scopi militari (analisi di big data per situational awareness, crittografia quantistica per comunicazioni sicure, simulazioni digital twin per progettare velivoli) potranno avere ricadute civili importanti. Thales Alenia Space Italia contribuisce a tecnologie satellitari avanzate (osservazione terrestre ad alta risoluzione, telecomunicazioni sicure, esplorazione spaziale) che oltre alla difesa servono protezione civile, agricoltura di precisione, connettività globale. Avio sviluppa propulsori per lanciatori e velivoli che migliorano l’efficienza anche dell’aviazione commerciale. L’elettronica per la difesa (sensoristica, radar AESA, visori notturni, sistemi di comunicazione criptata) produce componenti e competenze poi riutilizzabili in settori come l’automotive (sensoristica ADAS), la sicurezza civile, le smart city. I dati confermano che l’industria italiana è trainata da tecnologie dual-use e da una forte enfasi su R&D ed export innovativi23. La presenza di centri di eccellenza aziendali (ad esempio il centro di supercalcolo davinci-1 di Leonardo, uno dei più potenti in Europa, o i laboratori di Fincantieri su robotica subacquea) indica una continua produzione di nuove soluzioni tecnologiche.
Sul fronte dei brevetti registrati, non disponendo sempre di numeri pubblici aggregati per l’intero settore, possiamo citare qualche riferimento: Leonardo risulta essere la prima impresa in Italia per numero di brevetti depositati annualmente nel campo aero-difesa, ed è seconda a livello europeo per investimenti in R&D nel settore (dopo Airbus)24. Ciò implica un ruolo di primo piano nella produzione scientifica e brevettuale: l’Italia è classificata al 6º posto mondiale per numero di pubblicazioni scientifiche nei campi Spazio e Scienze Aeronautiche, e 5ª per citazioni ricevute, a riprova della qualità della ricerca connessa anche all’ambito difesa/spazio. In un singolo anno, il sistema difesa italiano produce probabilmente centinaia di domande di brevetto (comprendendo depositi presso EPO, USPTO e tramite PCT): tra il 2000 e il 2012 a livello globale si contarono 973 mila brevetti in ambito Aerospace & Defence (il 16% del totale brevetti industriali), con una crescita media annua del +7-8% in categorie come aeronautica e avionica. L’Italia, pur rappresentando una frazione di quel totale, partecipa attivamente a questa spinta innovativa. Ad esempio, innovazioni recenti brevettate in Italia includono velivoli a pilotaggio remoto senza coda (concept “Tail-less” di Leonardo presentato nel 202325), nuovi materiali radar-assorbenti per navi (progetti Fincantieri), algoritmi di intelligenza artificiale per la cybersecurity (Leonardo, Elettronica) e sistemi avanzati di guida missilistica (MBDA). Molte di queste invenzioni si traducono in prodotti concreti e rafforzano la competitività dell’industria nazionale sia in campo militare sia in possibili usi civili.
In sintesi, l’aumento degli investimenti nella difesa si traduce in progresso tecnologico significativo: il settore funge da laboratorio per innovazioni di frontiera, tutela la sovranità tecnologica italiana in ambiti critici (sensoristica, crittografia, propulsione avanzata), e produce un patrimonio di brevetti e know-how che arricchisce l’intero sistema-Paese.
Relazione con il mondo accademico e della ricerca
Le interconnessioni tra industria della difesa, università ed enti di ricerca in Italia sono molto sviluppate, in virtù della natura knowledge-intensive del settore. I principali gruppi della difesa collaborano attivamente con atenei, centri del CNR e altri enti su progetti di R&D, favorendo uno scambio continuo di competenze e formazione di nuove professionalità. Un esempio evidente è rappresentato dai Leonardo Labs, una rete di laboratori di ricerca aziendali istituiti da Leonardo in collaborazione con il mondo accademico. Dal 2020 in poi, Leonardo ha lanciato un programma ambizioso di reclutamento di giovani ricercatori da affiancare ai suoi laboratori interni, prevedendo allo stesso tempo il finanziamento di borse di dottorato industriale presso varie università. Nel 2022 è stato avviato un bando che mette a disposizione 53 posizioni da ricercatore nei Leonardo Labs e 35 borse di dottorato cofinanziate con atenei italiani. Questo ha portato il totale dei ricercatori impiegati nei Labs a 130 unità nel 2022, con l’obiettivo di salire a 200 nel 202326. Si tratta di figure che lavorano su tecnologie di punta (AI, calcolo quantistico, materiali avanzati, droni, simulazione digitale) in stretta sinergia con professori universitari e gruppi accademici, creando un ponte strutturato tra industria e università. I dottorati industriali finanziati consentono a decine di dottorandi di svolgere ricerca applicata su temi dual-use, avendo Leonardo come partner industriale e beneficiando di risorse aggiuntive. Analoghe iniziative sono portate avanti da altre imprese: Fincantieri ad esempio ha accordi quadro con l’Università di Genova e altri atenei per attivare dottorati industriali in ingegneria navale e materiali (come da convenzione 202027), Elettronica SpA collabora con il Politecnico di Torino e di Milano su borse di studio in elettronica delle difese, MBDA supporta dottorati in missilistica e guidance in collaborazione con il Politecnico di Milano.
Oltre ai dottorati, il settore finanzia numerose borse di studio e programmi per studenti. Leonardo, ad esempio, organizza ogni anno il concorso “Innovation Award” aperto ai propri dipendenti e anche a giovani esterni, che premia le migliori idee innovative con borse e riconoscimenti, incoraggiando la creatività tecnico-scientifica28. Molte aziende offrono stage e tirocini a studenti di ingegneria, e sponsorizzano Master universitari in settori come Cybersecurity, Geopolitica della sicurezza, Ingegneria dei materiali per la difesa, spesso in partnership con istituzioni accademiche (es. Master in Cybersecurity LUISS-Leonardo). Esistono poi laboratori congiunti: Thales Alenia Space ha creato joint lab con il Politecnico di Torino e con l’Università di Roma Sapienza per lo sviluppo di tecnologie spaziali29; Leonardo collabora con il CNR su progetti di sensori quantistici e con l’INFN su componenti per lo spazio; Fincantieri cofinanzia centri di ricerca su automazione navale e intelligenza artificiale applicata con l’Università di Trieste e Genova. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) vede diverse sue sezioni (ad es. l’Istituto di Scienze del Mare, l’Istituto di Elettronica e di Ingegneria) coinvolte in progetti commissionati dalla Difesa o dalle aziende del settore, come studi su nuovi materiali compositi, tecnologie sonar, ecc.
Questa osmosi tra difesa e ricerca pubblica si manifesta anche nella partecipazione comune a programmi finanziati: tramite il Piano Nazionale della Ricerca Militare (PNRM) il Ministero della Difesa stanzia fondi – sebbene limitati (circa 50 milioni €/anno) – per progetti innovativi spesso sviluppati con atenei e centri (es. piattaforme UAS, tecnologie radar oltre l’orizzonte). Inoltre l’Italia partecipa a iniziative europee come l’European Defence Fund (EDF) (vedi sezione seguente) dove soggetti industriali e accademici formano consorzi misti per aggiudicarsi bandi di ricerca avanzata, obbligatoriamente coinvolgendo PMI e centri di ricerca: questo ha stimolato una rete di cooperazione scientifica nazionale in preparazione dei bandi EDF, con poli universitari (Politecnico di Torino, di Milano, La Sapienza, ecc.) integrati nei team guidati dalle aziende.
Un altro punto di contatto è rappresentato dagli spin-off universitari e startup legate a tecnologie dual-use. Il settore difesa italiano guarda con crescente interesse al vivace ecosistema di startup hi-tech, riconoscendo che innovazioni in campo civile (dai big data all’elettronica di consumo) possono avere applicazioni militari. Grandi gruppi come Leonardo hanno lanciato programmi di open innovation e accelerazione di startup: nel 2022 è partita la Business Innovation Factory (BIF) di Leonardo, un acceleratore in partnership con l’incubatore LVenture e CDP Venture Capital, mirato a supportare fino a 30 startup innovative in 3 anni (circa 10 l’anno) sviluppanti soluzioni tecnologiche di interesse duale. Nella prima edizione 2023, dopo aver valutato oltre 150 candidature, sono state selezionate 10 startup che hanno accesso a un programma di 6 mesi presso Leonardo per sviluppare un Proof of Concept delle loro idee con il supporto delle unità di business aziendali30. Le aree coperte vanno dall’intelligenza artificiale alla robotica, dall’elettronica quantistica alla cybersicurezza, con applicazioni potenziali sia in ambito difesa sia sul mercato civile. Questa iniziativa – analoghe esistono in Europa (Airbus, Thales hanno acceleratori simili) – favorisce gli investimenti privati su startup italiane: Leonardo e altri attori possono poi decidere di investire capitale in queste giovani imprese (corporate venture), facilitandone la crescita. Anche il governo italiano partecipa a programmi di innovazione duale: l’Italia è tra i 22 Paesi fondatori del nuovo NATO Innovation Fund, un fondo di venture capital da 1 miliardo € istituito nel 2023 dalla NATO per finanziare startup deep-tech con soluzioni utili alla difesa31. Inoltre, attraverso l’EDA (European Defence Agency) e iniziative UE come DIANA (Acceleratore di innovazione difesa NATO), vengono lanciati challenge e acceleratori a cui partecipano team italiani (startup e ricercatori) con idee su energie pulite per basi militari, sensori biotech, ecc., ottenendo tutoraggio e fondi seed.
Nel complesso, il legame fra difesa e mondo accademico in Italia è solido e si va rafforzando con l’aumentare dei fondi disponibili: progetti di R&S condivisi, dottorati e borse finanziati dalle aziende, laboratori congiunti e incubazione di startup costituiscono elementi chiave di un ecosistema innovativo integrato. Ciò garantisce che la ricerca di base italiana abbia percorsi di sbocco applicativo nelle tecnologie della difesa, mentre l’industria beneficia dell’apporto di idee nuove, talenti formati e scoperte scientifiche all’avanguardia.
Stima dell’impatto di un aumento degli investimenti nella difesa
Un sensibile incremento degli investimenti nella difesa – ad esempio in attuazione del programma “Rearm Europe” che prevede di portare il livello di spesa UE verso valori storicamente elevati – avrebbe ricadute economiche, tecnologiche e occupazionali significative per l’Italia. Diversi modelli previsionali e analisi specialistiche concordano su effetti moltiplicativi positivi, sebbene di entità variabile a seconda di come la spesa viene indirizzata.
In termini di impatto economico macro, l’aumento della spesa militare agisce come stimolo fiscale, accrescendo la domanda interna di beni e servizi ad alta tecnologia. Secondo una stima di Goldman Sachs, in Europa un incremento di spesa difesa tende ad avere un moltiplicatore fiscale di circa 0,5 nel biennio32 – ciò significa che 100 € aggiuntivi di spesa generano 50 € di PIL aggiuntivo entro due anni, un impatto moderato ma positivo. Tuttavia, altri studi suggeriscono che in contesti di capacità produttive inutilizzate e con investimenti mirati in innovazione, il moltiplicatore possa avvicinarsi o superare l’unità. Un recente rapporto del Kiel Institute (2025) evidenzia scenari molto interessanti per l’Europa: se i governi portassero il bilancio difesa dal 2% al 3,5% del PIL, privilegiando l’acquisto di armamenti di produzione europea (anziché importati dagli USA), il PIL potrebbe crescere di 0,9% fino a 1,5% in più all’anno33. Ciò implica un effetto moltiplicatore notevole, dato che un +1,5% di PIL annuo aggiuntivo è quasi il risultato di ogni punto percentuale extra di spesa. In pratica, “spendere bene” in difesa – ossia investendo in filiere industriali nazionali/europee e in alta tecnologia – consentirebbe di contenere i costi netti della spesa militare perché una parte consistente tornerebbe sotto forma di crescita economica34. Applicando questa logica all’Italia: portare la spesa dal ~1,5% PIL attuale al 2% (incremento di circa 0,5% PIL, pari oggi a ~10 miliardi € annui extra) potrebbe aggiungere fino a 0,3-0,5% di PIL all’anno, mentre scenari più ambiziosi (2,5% PIL) avrebbero impatti ancora maggiori. In prospettiva comparativa, Paesi che stanno incrementando fortemente le spese (Polonia verso il 4% PIL, Francia e UK sopra il 2%) vedranno presumibilmente effetti di stimolo industriale e PIL: ad esempio la Polonia punta a creare decine di migliaia di posti di lavoro e un indotto locale robusto con le sue commesse, la Francia con investimenti in tecnologie emergenti di difesa mira a spingere la propria crescita tecnologica. L’Italia, aumentando gradualmente fino al 2% entro il 202835, si collocherebbe più vicina alla media NATO (che nel 2023 ha raggiunto il 2% PIL UE complessivo36) e potrebbe così evitare effetti di dipendenza dall’estero, mantenendo maggiore spesa “in casa” – il che massimizza il moltiplicatore interno.
Un maggiore investimento in ambito Difesa ha anche implicazioni per il mercato del lavoro. L’effetto diretto sarebbe la crescita dell’occupazione nell’industria della difesa, sia con nuove assunzioni nelle imprese esistenti sia con la creazione di nuove realtà imprenditoriali (start-up, spin-off) attivate dalla domanda aggiuntiva. Se la spesa italiana aumentasse stabilmente, le aziende come Leonardo, Fincantieri, Iveco, ecc. dovrebbero ampliare organici per gestire l’aumento di produzione e nuovi programmi: si potrebbero stimare migliaia di nuovi posti di lavoro diretti. Ad esempio, il lancio di un singolo grande programma come il caccia GCAP/Tempest può generare in Italia forse 6.000-10.000 posti diretti ad alta qualifica (stime per l’intero consorzio parlano di “decine di migliaia” di occupati, da ripartire tra i tre Paesi37). Ulteriori piattaforme nazionali (es. un nuovo carro armato italo-tedesco, nuove navi) attiverebbero linee produttive e assunzioni in vari stabilimenti (cantieri di Riva Trigoso e Castellammare per le navi, stabilimenti di CIO per carri, ecc.). L’indotto occupazionale crescerebbe in parallelo: nuovi contratti per PMI porterebbero queste ultime ad assumere. Considerando il moltiplicatore occupazionale citato (1 posto diretto → ~2,6 indiretti38), se ad esempio 5.000 posti qualificati venissero creati direttamente nelle aziende leader, altri ~13.000 potrebbero aggiungersi nell’indotto, per un totale di quasi 18.000 nuovi occupati. Aumentando la spesa di un terzo rispetto ad oggi, ipoteticamente il settore difesa (oggi ~54mila diretti) potrebbe superare i 70-80 mila occupati diretti nel medio termine, riportando l’Italia verso i livelli di occupazione militare-industriale dei primi anni ’90. Ciò includerebbe molti giovani ingegneri e tecnici, alleviando parzialmente la “fuga di cervelli” verso l’estero offrendo opportunità professionali di alto livello in patria. Non va trascurato infatti che i posti generati in difesa hanno un profilo qualitativo elevato e stipendi medi superiori alla media manifatturiera, quindi ogni nuova posizione ha un impatto socio-economico rilevante (redditi più alti, maggior gettito fiscale, consumi locali). L’indotto si estenderebbe su filiere ampie: dall’acciaio speciale per mezzi corazzati (favorendo l’industria siderurgica locale) alle aziende di elettronica (per circuiti e sensori), IT (software di simulazione, AI), costruzioni (infrastrutture militari, basi). In parallelo, potrebbe crescere l’occupazione nella ricerca pubblica legata alla difesa, con più fondi a università e centri per progetti e contratti di ricerca (giovani ricercatori finanziati dal PNRM, borse di studio aggiuntive). Si verificherebbe quindi un effetto volano sull’occupazione scientifica: più dottorandi, assegnisti e tecnici di laboratorio finanziati tramite programmi difesa, che in parte poi transiteranno nell’industria o nella pubblica amministrazione con competenze potenziate.
Sul piano dell’ecosistema innovativo, maggiori investimenti militari agirebbero da catalizzatore per l’intero settore high-tech. La domanda aggiuntiva di tecnologie avanzate da parte della Difesa spingerebbe imprese e centri a sviluppare nuove soluzioni, alimentando ad esempio la crescita di PMI innovative. Startup italiane nel campo dell’AI, dell’elettronica quantistica, della robotica autonoma potrebbero vedere opportunità concrete di mercato fornendo soluzioni dual-use alle Forze Armate, incoraggiando venture capitalist a investire in esse (forti di prospettive di contratti pubblici). Programmi come i già citati acceleratori (Leonardo BIF, NATO DIANA) avrebbero più risorse per moltiplicare il numero di startup supportate. Si creerebbe un circolo virtuoso in cui la difesa diventa cliente e partner di lancio per tecnologie emergenti sviluppate da giovani imprese, aiutandole a superare la cosiddetto “valle della morte” delle startup tecnologiche. Già oggi si notano segnali: con l’aumento fondi europei EDF, diverse PMI high-tech italiane (ad es. aziende di cyber-range, sensoristica avanzata) si sono consorziate e hanno ottenuto finanziamenti, crescendo di dimensione e competenze grazie ai progetti UE. In prospettiva, un’Italia che investe di più potrà promuovere spin-off universitari: ad esempio, un gruppo di ricerca accademico che realizza un nuovo materiale radar-assorbente potrebbe fondare una start-up per commercializzarlo con supporto ministeriale e poi vendere sia al Ministero Difesa che al mercato civile (es. per applicazioni in telecomunicazioni). L’esperienza statunitense insegna che robusti investimenti militari hanno spesso effetti spill-over nell’economia civile – basti pensare ad ARPANET → Internet, ai microchip sviluppati per missili e poi diventati CPU per tutti. Anche in Italia, un rinnovato ecosistema difesa high-tech potrebbe, oltre a rafforzare le capacità militari, irradiare innovazione in settori come l’aerospazio civile (es. tecnologie avioniche militari applicate a velivoli commerciali più sicuri ed efficienti), l’automotive (compositi e sensoristica derivati dalla ricerca bellica per veicoli elettrici e autonomi), l’energia (materiali e batterie avanzate testate per uso militare poi utilizzate per la transizione verde). L’effetto di spill-over scientifico si noterebbe anche in più pubblicazioni e brevetti: gruppi di ricerca finanziati su progetti difesa produrranno articoli su riviste internazionali e depositeranno brevetti, mantenendo l’Italia ai vertici per contributi in aree come l’aerospazio (dove già è 6ª mondiale per pubblicazioni). In sostanza, un ecosistema innovativo nazionale più vivace e interconnesso, dal grande gruppo alla start-up allo spin-off accademico, sarebbe uno dei frutti più importanti di maggiori investimenti: l’innovazione endogena italiana ne risulterebbe potenziata, con benefici che travalicano il perimetro strettamente militare.
Infine, sul fronte della competitività internazionale, un aumento della spesa e quindi della produzione militare renderebbe l’Italia un player ancora più forte nel mercato globale della difesa. Già oggi il Paese è 6º esportatore mondiale39); con nuovi programmi all’attivo, potrebbe rafforzare questa posizione o salire ulteriormente, insidiando ad esempio il 5º posto della Germania. Se l’Italia investe in proprio in tecnologie chiave, si riduce la dipendenza da forniture estere e può anzi proporsi come fornitore per altri (un esempio futuro: se il caccia Tempest italiano avrà successo, potrà essere esportato come oggi fanno UK/Italia con Eurofighter). La maggiore spesa inoltre permetterebbe alle aziende italiane di acquisire maggior massa critica, tramite possibili fusioni e acquisizioni sia interne che transnazionali, portando a campioni europei più integrati. Si aprirebbe la strada a una cooperazione industriale e scientifica europea più intensa: investire di più consente all’Italia di sedersi da protagonista ai tavoli dei consorzi UE/NATO, portando anche le proprie filiere. In un recente policy brief, Bruegel sottolinea che il mercato europeo della difesa soffre di frammentazione e duplicazioni nazionali, con basse tirature produttive e costi alti: una maggiore integrazione e cooperazione porterebbe economie di scala, riduzione costi unitari e maggiore prontezza operativa. L’Italia, aumentando gli investimenti, contribuirebbe a questo processo integrativo, potendo condividere progetti con partner (es. sviluppare in comune munizioni o veicoli anziché in parallelo) e promuovere una “preferenza europea” negli acquisti che rafforzi la base industriale continentale40. Ciò è in linea con l’idea di “autonomia strategica europea”: se tutti i maggiori Paesi UE investono e coordinano, l’Europa riduce le dipendenze esterne (in particolare dagli USA per certe tecnologie) e innalza il proprio livello tecnologico collettivo. L’Italia ha interesse a spingere su questo tasto, perché le sue aziende potrebbero guidare determinati segmenti (ad es. l’elicotteristica e i droni – dove Leonardo eccelle – potrebbero diventare pilastri europei con sostegno condiviso). Inoltre, una robusta industria nazionale consente all’Italia di avere voce più autorevole in ambito NATO e UE: partner affidabile nelle catene di fornitura (fornendo capacità alla NATO, es. manutenzione F-35 in Europa, ruolo che l’Italia già svolge a Cameri), e partner capace di iniziative, come la proposta di un Fondo Europeo per il riarmo da 500 mld € nei prossimi 5 anni, per cui occorre volontà politica e contributi nazionali. L’impatto sull’immagine internazionale sarebbe anche significativo: l’Italia passerebbe da membro NATO un po’ in ritardo sugli impegni (oggi è uno degli 8 su 31 Paesi sotto il 2%41) a contributore a pieno titolo, il che ha riflessi diplomatici (maggior peso nelle decisioni di standard, possibilità di ottenere comandi o agenzie NATO/UE sul proprio territorio, ecc.). Dal punto di vista commerciale, un’industria più forte e innovativa potrebbe penetrare nuovi mercati di export: con prodotti di nuova generazione, l’Italia potrebbe competere per commesse in Asia, Africa e Sud America, ampliando la già consistente quota di export extraeuropeo.
In conclusione, un aumento degli investimenti in linea con “Rearm Europe” eserciterebbe un effetto moltiplicatore sull’economia italiana, stimolando PIL e occupazione soprattutto nei comparti hi-tech, e alimentando un ecosistema di innovazione dinamico fatto di grandi imprese, PMI e centri di ricerca. L’Italia potrebbe così consolidare il proprio ruolo di attore di primo piano nel mercato globale della difesa, contribuendo al contempo al rafforzamento della cooperazione industriale europea e alla sicurezza collettiva dell’Occidente. Come sottolineato dagli esperti, “fatto nel modo giusto” (ovvero investendo in capacità nazionali/europee di alta qualità), il riarmo può essere perseguito senza timore di un disastro economico ma anzi con prospettive di crescita e modernizzazione industriale42. Le sfide restano nell’assicurare che le maggiori risorse siano spese in modo efficiente e coordinato (evitando sprechi e duplicazioni), ma le opportunità per l’Italia – in termini di sviluppo tecnologico, posti di lavoro qualificati e competitività internazionale – appaiono considerevoli.
Fonti: NATO, OECD, SIPRI, European Defence Agency, Commissione Europea, Istituti di ricerca internazionali (RAND, Kiel Institute), Mediobanca Area Studi, Ministero della Difesa (DPP), studi IAI, Bruegel Policy Brief, articoli Defense News, Euronews.