Chi segue Stroncature sa che qui si dà molta importanza alla questione della Terza Missione, vale a dire il trasferimento delle conoscenze prodotte dal mondo della Ricerca e dell’Accademia perché possano diventare motore di sviluppo economico e progresso sociale. Il punto è che la Terza missione è uno stadio di un processo più lungo e complesso che ha uno snodo critico nelle fasi di orientamento, vale a dire quelle attività che servono a far capire alle giovani menti qual è la loro vocazione. Il lavoro come Beruf (missione di una vita intera) e non come Arbeit (fatica, travaglio), per usare l’utile distinzione offerta dal tedesco. E qui però ci imbattiamo in un problema, che forse uno dei motivi per il quale siamo al terzultimo posto in Europa come numero di laureti. Proviamo a fare qualche ragionamento allora.
I dati più recenti di Eurostat evidenziano che l'Italia continua a registrare una delle percentuali più basse di laureati tra i giovani adulti in Europa. Nel 2023, solo il 31% degli italiani tra i 25 e i 34 anni possedeva un titolo di studio terziario, significativamente al di sotto della media UE del 43%. Questo posiziona l'Italia al terzultimo posto nell'Unione Europea, superando unicamente Romania (23%) e Ungheria (29%). Il divario con altri paesi europei rimane considerevole, con nazioni come Irlanda (63%), Cipro (62%) e Lussemburgo (60%) che hanno già superato l'obiettivo europeo del 45% di laureati nella fascia 25-34 anni entro il 2030. Anche paesi di dimensioni comparabili come Francia e Spagna (entrambi al 52%) mostrano percentuali nettamente superiori.
Il punto è che le attuali pratiche di orientamento si focalizzano principalmente sulla descrizione statica dei settori disciplinari e delle opportunità lavorative che si intravedono1. Tuttavia questo approccio è claudicante: non riesce a suscitare l’entusiasmo delle giovani menti sul percorso di studi, visto che si limita a descrivere le cose che si devono fare, mentre, spostando l’accento sulle opportunità di lavoro e carriera futura, si focalizza sullo status futuro percepito che è sfuggente, mutevole, indefinito.
Infatti, l’immagine dello staus futuro percepito è costruito guardando nello specchietto retrovisore; è per definizione, legato a concezioni proprie del mondo di ieri. Al contrario, il mondo che i laureati incontreranno al termine dei loro studi sarà radicalmente diverso da quello immaginato all'inizio del percorso. C’è di più, impostare l’orientamento circa la scelta del percorso di studi universitari da fare sulla base delle future opportunità di lavoro è una visione ottocentesca, dove la velocità del cambiamento era più bassa e le diverse tipologie di lavoro erano un set abbastanza stabile e finito. Le cose ora non sono così, il set dei possibili lavori non è finito, ma potenzialmente infinito e tutto dipende dalla capacità di saper individuare problemi e proporre soluzioni che i più giudicano valide.
Una soluzione a questa problematica potrebbe essere quella di ricalibrare le attività di orientamento, ponendo l’accento sulle sfide intellettuali e sui problemi complessi su cui il mondo della ricerca e l'accademia sono attualmente impegnati. Questo approccio potrebbe accendere la curiosità e l'entusiasmo dei giovani, motivandoli a intraprendere percorsi di studio non per l’acquisizione di un futuro sfuggente e indefinito status, ma per il desiderio di contribuire alla risoluzione di grandi questioni che impegnano le menti più brillanti. È la sfida intellettuale che anima le giovani menti, non la ricerca di una casella dove collocarsi. In questo senso l’Università riacquista il suo ruolo di frontiera della conoscenza e non di ufficio di collocamento.
Ci sarebbe anche un altro aspetto da considerare, anche se la cosa andrebbe approfondita. Esporre le giovani menti ai grandi problemi su cui il mondo della Ricerca sta ora lavorando, diventa anche un modo per creare un legame tra generazioni di studiosi: “noi stiamo lavorando a questi problemi, ma non siamo ancora riusciti a risolverli. Venite a darci una mano!” Ma questo significa anche un’altra cosa e cioè che si deve favorire la costruzione di un punto che serva a far dialogare il mondo della ricerca con quello dell’istruzione media e superiore, creando così un flusso continuo, che serva a esporre le giovani menti ai problemi insoluti della ricerca.
È chiaro che se si imposta il problema in questo modo, Terza Missione vale a dire il trasferimento dei frutti della Ricerca a società civile e sistema produttivo, e Prima Missione, dialogano e si rafforzano a vicenda. Integrando una parte delle attività di Terza Missione (public engagement) nelle attività di orientamento, le Università possono non solo adempiere alla loro missione di impatto sociale, ma anche attrarre studenti entusiasti e consapevoli delle sfide intellettuali che ci sono dietro la ricerca.
Ripensare l'orientamento in questi termini potrebbe portare a un circolo virtuoso in cui la Terza Missione delle università diventa un potente strumento per potenziare la Prima Missione, ovvero la didattica e la capacità di attrarre sempre più studenti e di portarli alla laurea. E questo perchè, presentando agli studenti le sfide reali e le conquiste della ricerca, le università possono attrarre giovani menti che sono focalizzate sul percorso di studi, come tappa per acquisire quegli strumenti che servono a risolvere problemi complessi, non sull’ambizione di acquisire uno status futuro sfuggente e mutevole. Il vantaggio non è solo quello di costruire comunità di curiosi entusiasti (e non di cinici); non solo avere giovani menti che lavorano sui grandi problemi; ma anche creare le condizioni perchè nuovi lavori possano emergere: l’attività economica non è altro che il risultato della capacità di risolvere problemi, offrendo soluzioni alle quali un numero più o meno grande di persone è disposto a offrire un compenso economico più o meno grande.
In conclusione, ripensare l'orientamento scolastico e universitario in termini di sfide intellettuali e impatto sociale potrebbe rappresentare una svolta significativa nel modo in cui si invitano le giovani menti a guardare al futuro: non la ricerca di una casella nella quale rannicchiarsi aspettando la pensione, ma la ricerca continua di problemi; problemi che nessuno prima di allora era stato in grado di risolvere.
Secondo le nuove Linee guida per l'orientamento emanate dal Ministero dell'Istruzione e del Merito, a partire dall'anno scolastico 2023/2024 sono previste 30 ore di attività di orientamento per ogni anno scolastico nelle scuole secondarie di I e II grado. Per le scuole secondarie di I grado e per il primo biennio delle secondarie di II grado, queste 30 ore possono essere svolte anche in modalità extracurricolare. Per l'ultimo triennio delle scuole secondarie di II grado, invece, sono previste 30 ore curriculari di orientamento per ogni anno scolastico. Le 30 ore possono essere gestite in modo flessibile dalle scuole, nel rispetto della loro autonomia, e non devono necessariamente essere ripartite in ore settimanali prestabilite. L'obiettivo è fornire agli studenti strumenti per compiere scelte consapevoli sul loro futuro formativo e professionale, contrastare la dispersione scolastica e favorire l'accesso all'istruzione terziaria.