Punti cardinali #76
La ricerca accademica internazionale è il luogo dove nascono i concetti che definiscono il nostro tempo e dove vengono forgiati gli strumenti per leggere la realtà. Eppure, l’accesso a questa fonte strategica è bloccato da barriere strutturali: la complessità delle opere originali, la loro assenza nel mercato italiano e i costi proibitivi dei volumi specialistici.
Punti Cardinali nasce per abbattere queste barriere.
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In questo numero: l’analisi di 4 nuove opere appena pubblicate dalle maggiori case editrici accademiche.
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“A Brief History of the Philosophy of Time” di Adrian Bardon, (Second Edition, Oxford University Press, 2024)
Pubblicato da Oxford University Press nella sua seconda edizione nel 2024, A Brief History of the Philosophy of Time di Adrian Bardon affronta una delle domande più persistenti e al tempo stesso più elusive della riflessione filosofica: che cosa significa interrogarsi sul tempo. Il libro non si limita a presentare risposte storiche a questa domanda, ma ricostruisce il modo stesso in cui il problema del tempo è stato formulato, trasformato e radicalmente riconsiderato nel corso dei secoli. Bardon mostra come il tempo non sia semplicemente un oggetto di studio tra gli altri, bensì una struttura concettuale che condiziona il modo in cui comprendiamo il cambiamento, l’esperienza, la causalità, la libertà e persino l’esistenza dell’universo. Fin dalle prime pagine emerge che chiedere “che cos’è il tempo” non equivale a chiedere che tipo di cosa esso sia, ma implica un’indagine sui presupposti stessi del nostro linguaggio ordinario, delle pratiche scientifiche e delle categorie mentali con cui organizziamo l’esperienza. Il libro merita attenzione perché chiarisce perché il tempo resista a definizioni univoche e perché le nostre intuizioni più immediate sul suo “scorrere” entrino spesso in conflitto con l’analisi filosofica e con la fisica moderna. L’opera invita il lettore a sospendere certezze apparentemente ovvie e a interrogarsi su ciò che diamo per scontato quando parliamo di passato, presente e futuro.
“A Brief History of Intelligence” di Max S. Bennett, Mariner Books, 2023
Pubblicato nel 2023 da Mariner Books, A Brief History of Intelligence di Max S. Bennett affronta una delle questioni più ambiziose e controverse della ricerca contemporanea: comprendere che cosa sia l’intelligenza, come sia emersa nel corso dell’evoluzione biologica e in che modo questa storia possa illuminare il presente e il futuro dell’intelligenza artificiale. Il libro si colloca esplicitamente all’incrocio tra neuroscienze evolutive, scienze cognitive e ricerca sull’IA, ma lo fa rifiutando sia le narrazioni puramente tecnicistiche sia le spiegazioni riduzioniste. Bennett propone una prospettiva unitaria, fondata sull’idea che l’intelligenza non sia un attributo astratto o immutabile, bensì il risultato di una lunga sequenza di adattamenti emersi in risposta a pressioni ambientali specifiche. L’opera non si limita a raccontare una storia del cervello umano, ma si interroga su ciò che distingue realmente l’intelligenza biologica da quella artificiale, mettendo in discussione entusiasmi ricorrenti e promesse premature. Fin dalle prime pagine emerge l’intento di ricostruire un quadro concettuale capace di spiegare perché sistemi artificiali straordinariamente performanti in compiti ristretti continuino a fallire in attività che per un essere umano risultano banali. Il libro invita così il lettore a riconsiderare le proprie intuizioni sull’intelligenza, interrogandosi sui suoi fondamenti evolutivi e sulle condizioni che ne rendono possibile l’emergere.
“A Brain for Innovation. The Neuroscience of Imagination and Abstract Thinking” (Columbia University Press, 2024)
In A Brain for Innovation. The Neuroscience of Imagination and Abstract Thinking (Columbia University Press, 2024), Min W. Jung affronta una domanda che sembra, a prima vista, più filosofica che biologica: che cosa rende gli esseri umani capaci di innovare in modo cumulativo, trasformando l’ambiente, le tecniche, le istituzioni e persino l’immaginario collettivo? Il punto di partenza non è l’elogio dell’inventiva, ma l’idea che l’innovazione sia un comportamento con radici neurobiologiche riconoscibili, e che per comprenderla occorra guardare a ciò che il cervello fa quando non è impegnato a reagire al mondo esterno. Jung propone di spostare l’attenzione dal cervello “in azione” al cervello che elabora, ricompone, prova alternative, anticipa conseguenze: un cervello che, mentre sembra riposare, produce possibilità. La posta in gioco non è soltanto capire come nascano le idee, ma perché alcune idee diventano strumenti, modelli, linguaggi condivisi e, in ultima istanza, infrastrutture di civiltà. L’autore osserva questo terreno da neuroscienziato interessato ai meccanismi, cioè a come reti e circuiti possano generare processi mentali interni come l’immaginazione e l’astrazione; e suggerisce che proprio lì, nell’intersezione fra simulazione del futuro e pensiero concettuale, si annidi un nucleo spiegativo dell’innovazione umana.
“A Great Disorder. National Myth and the Battle for America” di Richard Slotkin (The Belknap Press of Harvard University Press, 2024)
Pubblicato nel 2024 da The Belknap Press of Harvard University Press, A Great Disorder. National Myth and the Battle for America di Richard Slotkin affronta uno dei nodi più delicati e controversi della vita pubblica statunitense contemporanea: il modo in cui il passato viene raccontato, simbolizzato e trasformato in risorsa politica nel presente. Il libro si muove su un terreno in cui storia, cultura e conflitto politico si intrecciano profondamente, mostrando come le narrazioni condivise sull’origine e sull’identità della nazione non siano semplici cornici interpretative, ma veri e propri strumenti di azione collettiva. Slotkin non si limita a registrare la polarizzazione in atto nella società americana, ma ne indaga le radici profonde, rintracciandole nei miti fondativi che, nel corso dei secoli, hanno fornito agli americani un linguaggio comune per pensare se stessi come comunità politica. Il punto di partenza è l’idea che l’attuale “disordine” non sia un’anomalia improvvisa, bensì l’esito di una lunga sedimentazione simbolica, in cui vecchie narrazioni continuano a operare sotto nuove forme. Il libro merita attenzione perché propone di leggere le guerre culturali del presente non come un semplice scontro di opinioni, ma come una battaglia per il controllo del significato stesso dell’America. Gli interrogativi che lo attraversano riguardano la possibilità di una convivenza civile in una società radicalmente plurale, il ruolo del passato nella legittimazione del potere e la funzione dei miti nel tenere insieme – o nel lacerare – una comunità nazionale.





